I PROMESSI PROMOSSI
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CAPITOLO III
Paola entrò
nella classe, mentre Renzo stava angosciamente informando
Loredana, la quale angosciosamente lo ascoltava. Tutt'e due si
volsero a chi ne sapeva più di loro, e da cui aspettavano uno
schiarimento, il quale non poteva essere che doloroso: tutt'e
due, lasciando travedere, in mezzo al dolore, e con l'amicizia
diversa che ognun d'essi portava alla Paola, un cruccio pur
diverso perché avesse taciuto loro qualche cosa, e una tal cosa.
Loredana, benché ansiosa di sentir parlare l'amica, non poté
tenersi di non farle un rimprovero. "Alla tua migliore amica
non dir niente d'una cosa simile!".
"Ora ti
dirò tutto," rispose Paola, pulendosi gli occhiali con la
maglia.
"Parla,
parla! - Parla, parla!" gridarono a un tratto l'amica e il
rivale/amico.
"Santissima
Vergine!" esclamò Paola: "chi avrebbe creduto che le
cose potessero arrivare a questo segno!" E, con voce rotta
dalla rabbia, raccontò come, pochi giorni prima, mentre usciva
da scuola, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era
passato innanzi Matteo, in compagnia d'un altro ragazzo; che il
primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com'ella
diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva
affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva
sentito quell'altro amico rider forte, e Matteo dire:
scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s'eran trovati ancora nel
corridoio; ma Paola era nel mezzo delle compagne, con gli occhi
bassi; e l'altro amico sghignazzava, e Matteo diceva: vedremo,
vedremo. "Per grazia del cielo," continuò Paola,
"quel giorno era l'ultimo dei ragazzi. Io raccontai
subito..."
"A chi hai
raccontato?" domandò Loredana, andando incontro, non senza
un po' di sdegno, al nome del confidente preferito.
"A Simone,
in laboratorio, Lory," rispose Paola, con un accento soave
di scusa. "Gli raccontai tutto, l'ultima volta che siamo
andati in laboratorio di informatica: e, se ti ricordi, quella
mattina, io andavo mettendo mano ora a una cosa, ora un'altra,
per indugiare, tanto che passasse altra gente dell'I.T.C. avviata
a quel piano, e far la strada in compagnia con loro; perché,
dopo quell'incontro, i corridoi mi facevan tanta paura..."
Al nome
riverito di Simone, lo sdegno della Loredana si raddolcì.
"Hai fatto
bene," disse, "ma perché non raccontar tutto anche
alla tua migliore amica?"
Paola aveva
avute due buone ragioni: l'una, di non contristare né spaventare
la buona ragazza, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto
trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per
molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta:
tanto più che Paola sperava che al momento dei compiti in classe
avrebbe troncato, sul principiare, quell'abbominata persecuzione.
Di queste due ragioni però, non allegò che la prima.
"E a
te," disse poi, rivolgendosi a Renzo, con quella voce che
vuol far riconoscere a un amico che ha avuto torto: "e a te
dovevo io parlar di questo? Pur troppo lo sai ora!"
"E che
t'ha detto Simone?" domandò Loredana.
"M'ha
detto che cercassi d'anticipar il compito più che potessi, e
intanto stessi rinchiusa: che pensassi solo a studiare; e che
sperava che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E
fu allora che mi sforzai," proseguì. rivolgendosi di nuovo
a Renzo, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo
tutta, "fu allora che feci la sfacciata, e che ti pregai io
che non diceste ad Andrea di procurare il compito dall'altra
classe. Chi sa cosa hai pensato di me! Ma io facevo per bene, ed
ero stata consigliata, e tenevo per certo... e questa mattina,
ero tanto lontana da pensare..." Qui le parole furon
troncate da un violento scoppio di brutte parole e improperi su
Matteo, ma noi ci limitiamo a riportare i meno sconci.
"Ah
birbone! ah dannato! ah nimal!" gridava Renzo, correndo
innanzi e indietro per la classe, e stringendo di tanto in tanto
il pugno davanti a sé.
"Oh che
imbroglio, per amor di Dio!" esclamava Loredana. Il giovine
si fermò d'improvviso davanti a Paola che era muta; la guardò
con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: "questa
è l'ultima che fa quell'asino".
"Ah! no,
Renzo, per amor del cielo!" gridò Paola. "No, no, per
amor del cielo! Il signore c'è anche per i deficienti; e come
volete che ci aiuti, se facciam del male?"
"No, no,
per amor del cielo!" ripeteva Loredana.
"Renzo,"
disse Paola, con un'aria di speranza e di risoluzione più
tranquilla: "tu sei un secchione, e io sono una secchione:
andiamo in un altro I.T.C., che colui non senta più parlar di
noi."
"Ah Paola!
e poi? Non siamo ancora a metà anno! E alla figura non ci pensi?
Una figura come quella? Se fossimo a giugno, oh allora...!"
Lucia si rimise
a pensare: e tutt'e tre rimasero in silenzio, e in un
abbattimento che faceva un tristo contrapposto alla pompa festiva
del sabato.
"Sentite,
date retta a me," disse, dopo qualche momento la Loredana.
"Io son venuta a scuola con voi e la scuola la conosco un
poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto
quanto si dipinge. A noi studentelli le matasse paion più
imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle un
parere, una parolina d'un ragazzo che abbia
"studiato"... so ben io qual che voglio dire. Fai a mio
modo, Renzo; vai e cerca di Max, raccontagli... Ma non lo
chiamare così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna
dire Flisi o Massimiliano... Ma basta che cerchi di quel ragazzo
alto, asciutto, moro, col viso bianco, e una voglia di figa nella
mente."
"Lo
conosco bene," disse Renzo.
E qui termina
questopera tuttora incompiuta in quanto lautore
al sè fiacà i maron.
Speriamo comprendiate il suo stato danimo,
in quanto per scrivere tutte coteste pagine al sè ardot
men stras.
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